venerdì 4 febbraio 2011

La Guerra Fredda finisce ora

Nel film Il caso Mattei un indimenticabile Gian Maria Volonté, interpretando il capo dell’ENI, diceva: “ Io chiedo ai Paesi produttori di lavorare con me, di sedersi allo stesso tavolo, di partecipare alle stesse speranze. Chi è più occidentale, se l’occidente non è altro che un’espressione geografica? Io, o le grandi compagnie petrolifere? ”. Mattei, quello che usava i partiti come i taxi (ipse dixit!), aveva ben in mente cosa significava chiudere col passato coloniale europeo: non certo per filantropia, ma forse perché nella sua cinica visione della geopolitica, aveva trovato nell’emancipazione del Medio Oriente la soluzione originale ai problemi di quell’area. Che poi questo fatto coincidesse con gli interessi di Mattei e la sua spregiudicatezza nel condurre gli affari, è semplicemente una coincidenza storica che oggi (purtroppo) non ha più importanza, anche se forse bisognerebbe ricordarsi del binomio petrolio-politica estera per capire molti avvenimenti di oggi.

Allora Nasser era il capo indiscusso dell’Egitto, Bourguiba il suo omologo in Tunisia, e la cultura panaraba sembrava dovesse essere l’ideologia del futuro, seppure con i dovuti distinguo che via via si sono presentati sulla scena internazionale. Il panarabismo rappresentava la soluzione ai problemi regionali di quel Terzo Mondo che emergeva dalla Guerra Fredda, ma anche la miglior strategia difensiva del mondo arabo al nemico comune: Israele. Nasser, fra gli altri, ne fu il fautore con la Repubblica Araba Unita, nata dalla fusione con la Siria. Dal 1958 e negli anni successivi, tutto questo era ampiamente giustificato dagli eventi: una concentrazione dell’attenzione politica sugli affari esteri non poteva evitarsi, tanto che le stesse superpotenze, a fasi alterne, hanno visto con favore i diversi regimi nati sulla sponda meridionale del Mediterraneo. A seguito di questo periodo di aspirazione autonomista, è però avvenuta una sorta di riassorbimento nell’orbita europea e nord atlantica dei Paesi arabi, ben diversa dal colonialismo vecchio stampo, ma che fondava il proprio potere su una base economica che in molto coincideva con questo genere di dominazione.

Oggi, la realtà ci presenta i due Paesi prima citati nel pieno di una rivolta popolare, e con due Presidenti, Mubarak e Ben Ali, successori anche ideali di Nasser e Bourguiba, travolti da una piazza che pare non poter accettare ulteriormente il potere autocratico (perché di dittatura in senso stretto non si può parlare) di due personaggi che hanno fatto il loro tempo. Alla domanda del perché ora vi siano stato questo scossone nel bacino del Mediterraneo, sarebbe gioco facile rispondere con la carta della crisi economica internazionale, che ha provocato un tale aumento dei prezzi (specie dei generi di prima necessità) oramai non più accettabile dalla popolazione. Questa è certamente una risposta corretta alla domanda, ma non di largo respiro, come il problema richiede.

Se invece si volesse dare un taglio più profondo a quest’analisi, ci si renderebbe conto che, nonostante gli stravolgimenti geopolitici avvenuti negli ultimi vent’anni, l’occidentalizzazione del mondo arabo, sempre mantenuta in vita e rinvigorita dopo l’11 settembre, è un progetto definitivamente tramontato. Se tutto ciò che sta succedendo è qualcosa di più di un fuoco di paglia, che trasformi in modo gattopardesco questi regimi in nuovi regimi simili, saremmo di fronte alla resa dei conti di contraddizioni che permisero a queste classi dirigenti di sopravvivere a sé stesse, nonostante la loro inadeguatezza, proprio per il ruolo che esse ricoprivano nello scacchiere internazionale. Se le rivolte di oggi, vorranno e riusciranno a portare a termine ciò che hanno cominciato, si aprirà ad una nuova concezione della democrazia nella regione, con mille incognite sul ruolo del potere religioso che specie in Egitto mantiene un peso non indifferente.

Davanti a tutto questo, l’Europa ex-padrona guarda dalla finestra, senza una voce comune e con la testa completamente rivolta ai bilanci pubblici di Stati membri che paiono essere la copia di quei Paesi che ora vivono nella rivolta. Speriamo si scongiuri l’effetto a catena.

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