sabato 3 luglio 2010

Storia (non sempre) maestra di vita

Ripensando alle polemiche di questi giorni sul ddl intercettazioni che il governo vuole calendarizzare entro il 29 luglio, mi viene da pensare all’autore Francis Fukuyama e alla sua tesi sulla fine della Storia. Secondo questo politologo americano, di cui molte cose non condivido, il motore degli avvenimenti storici altro non è che la democrazia. Il progresso, per utilizzare un termine umanistico, si risolverebbe però non nella democrazia fine a sé stessa, ma all’esercizio della memoria da parte delle persone: da essa, l'uomo può partire dalle esperienze dei popoli del passato per raggiungere risultati sempre più avanzati. Fukuyama, dunque, nel suo inguaribile ottimismo, ritiene che la Storia sia una linea, e che essa possa muoversi soltanto in avanti, unendosi ad un pieno ed inevitabile riconoscimento dell’ideologia liberale come faro dell’Umanità.

Ma se il processo storico si avvita su sé stesso a causa di un errore di valutazione o per il mancato esercizio della memoria, ripetendosi nuovamente gli errori del passato, ecco che esso diventa ciclico. Ciò ci porterà ad interrogarci non se l’errore avverrà, ma quando esso certamente si manifesterà.
L’Italia contemporanea vive in una dimensione talmente ciclica i suoi avvenimenti storici, che nemmeno cambia gli attori protagonisti, anzi. Se c’è invece qualcosa che riesce cambiare in ogni avvenimento che si analizza, è la risposta finale degli italiani alla sollecitazione che la Storia muove su di loro. E questo credo faccia la differenza.

L’inizio di questo ennesimo ciclo storico tutto italiano ha una data ben precisa: 13 luglio 1994. E’ il giorno nel quale il primo Governo Berlusconi, nella persona del suo Ministro della Giustizia, Alfredo Biondi, presenta il famigerato decreto, denominato poi dalla stampa “salva-ladri”. Il suo contenuto, nella parte che si occupa della limitazione della custodia cautelare per favorire gli arresti domiciliari, è cosa nota, specie nel particolare che uno dei primi beneficiari sarebbe stato quel Paolo Berlusconi fratello del premier in carica. Si dimostra invece più interessante per il nostro ragionamento la parte che riguardava la stampa, e che evoca in qualche modo le misure oggi prese per le intercettazioni. Allora, come oggi, li libertà di sapere è stata sacrificata all’altare della dignità personale, valore che oggi prende l’aggettivazione anglosassone di privacy, a causa della stessa globalizzazione del diritto. Ma furono le reazioni a fare la differenza. Il mondo della politica, della magistratura, della cultura e della opinione pubblica fece scudo contro una norma che sembrava volutamente un colpo di spugna. Le forme di protesta assunsero talora forme clamorose, come la dimissioni en bloc del pool di Milano di Mani Pulite dopo l’annuncio della presentazione del provvedimento da parte del Governo.

Oggi? Mentre questo ciclo della nostra Storia pare chiudersi la situazione è questa: stallo completo nella vita politica, magistratura che tace (o quasi) per spirito di sopravvivenza, giornalismo che in alcune sue parti è persino favorevole al nuovo provvedimento. Ma come detto, è l’indifferenza massiva che si percepisce nella società civile ciò che veramente cambia i rapporti di valore. Non è sufficiente riempire una Piazza Navona qualsiasi per un pomeriggio per dire che qualcosa si muove, se poi buona parte della gente (intesa come gens latina, un collettivo di individui) sopporta pedissequamente gli atteggiamenti del potere con indifferenza, peraltro magari giustificata da problemi maggiori (quelli economici, ad esempio) che allo stesso modo continuano a non trovare risposte negli atteggiamenti della politica. E’ dunque la cultura dell’indifferenza che si pone in contrasto con l’esercizio della democrazia, che a sua volta trova la sua fonte nella memoria. Che farne allora di Fukujama?

Personalmente, preferisco la concezione della Storia di Tucidide, per il quale il passato rappresenta il risultato di ciò che è già avvenuto, ma anche la base di orientamento per il futuro, in quanto in ciò che si vive c’è già un nucleo di comprensione per ciò che potrà essere. Ma anche questa lezione, purtroppo, sembra non potersi applicare al nostro paese per ovvi motivi già giustificati dai fatti illustrati. Che sia l’Italia una eccezione alla Storia?