sabato 21 agosto 2010

La quinta busta

Visto che l’hanno fatto tutti, voglio dare anch’io un mio ricordo del Presidente emerito Cossiga. Era il 1992, e dalla Brionvega verde della mia cucina, ancora in bianco e nero, ho il ricordo nitido di un passaggio del discorso delle dimissioni del Presidente, date in diretta nazionale. Devo dire di avere guardato mia madre un po’ sconcertato, e probabilmente nemmeno lei sembrava troppo convinta. Ripensandoci, quei pensieri sembravano giusti, visto quanto poi è accaduto nel corso dell’estate, con Falcone e Borsellino. Per un incredibile meccanica, inspiegabile anche per i sociologi del tempo, ai bambini della mia età Cossiga risultava popolare quanto i personaggi dei cartoni animati della allora Fininvest, con un gradimento imbarazzante che superava addirittura quello per Gesù Bambino. Io con i miei dieci anni, non facevo certo eccezione alla media, e sebbene ci siano anche testimonianze di un mio incontro qualche anno prima con Pertini a Cortina, il “Presidente di tutti” pare non mi avesse fatto lo stesso effetto. Dall’album di famiglia risulta che ero molto più interessato a cercare di parlare con una mucca.

I ricordi sono sempre la riflessione personale di eventi storici da noi vissuti, e quando avevo cominciato qualche anno dopo, in uno stato di semi folgorazione, a divorare libri sul terrorismo italiano, avevo scoperto che Cossiga era quello che non era riuscito a salvare Moro dalle Brigate Rosse. Quel secondo nonno si era allora tramutato in una persona cattiva, un Cossiga con la “kappa”, forse in contatto con la CIA sin dal principio di quei 55 giorni, e che non aveva fatto niente per salvare colui che ai miei occhi non poteva che essere un eroe, un martire.
Ma come direbbe Andreotti, la situazione era un po’ più complessa, e l’adolescenza ha bisogno di amici e nemici, bianco o nero, stato che non aiuta certo a riflettere. Fatico a dire che sarà la Storia a giudicare quest’ uomo di Stato. Fatico, perché l’elaborazione della Storia è in mano agli uomini, che nella loro fallibilità e corruttibilità piegheranno alle loro intenzioni ogni tipo d’interpretazione. Ancora di più in Italia, dove la morte suscita più emozioni che in ogni altra società del pianeta, tanto da portare anche chi ha il dovere dell’analisi scientifica, a parlare alla pancia dei propri interlocutori, finendo per l’ennesima volta a ricordi strappalacrime sul marito fedele e padre esemplare.

In cuor mio, ho la speranza che esista una quinta busta, oltre quelle date in mano alle altre quattro cariche dello Stato. Ho la speranza che essa sia invece depositata presso uno Studio Notarile e che rechi a fronte la dicitura “per il Popolo Italiano ”. Ho la speranza che il giorno in cui i suoi congiunti leggeranno le ultime volontà del presidente emerito, il notaio dica : “un momento, vi è un ultimo testo da leggere”. Se dovesse arrivare questo momento, vorrei che ci fosse una web cam e le telecamere della televisione a riprendere, quasi fosse un ottavo e non previsto messaggio di fine anno. Mi immagino la gente seduta al bar concentrata nel sentire, i parenti delle vittime della strage di Bologna esplodere in un pianto liberatorio, la famiglia Moro stringere i pugni, i suoi “gladiatori” mordersi le labbra come evidente segno di nervosismo.

Io immagino, ma non credo che accadrà. Eppure sarebbe incredibile: sarebbe un segno del recupero del senso primario della politica quale bene della polis. Perché senza verità storica non esiste il primario bene della comunità. Sarà per questo, che nel mondo anglosassone il politico che mente è trattato peggio di quello che ruba.
Tuttavia, e purtroppo, la verità storica che farebbe così bene, si trova irrimediabilmente in antitesi con la Ragion di Stato, valore con il quale, ci piaccia o meno, dobbiamo fare i conti.

Per tutti questi motivi sospendo tutti i miei giudizi, aspettando quella quinta busta. Diciamo che colui che ha avuto responsabilità importanti nel nostro Paese, non solo politiche ma personali, e chiunque esso sia, potrà essere giudicato sulla base di questa discriminate: il coraggio. Il coraggio di far sapere agli italiani ciò che gli italiani immaginano, credono di sapere ma che ancora non sanno. Se invece di fare in modo che il loro interesse a non sapere si faccia sempre più forte, si desse forza alla ragione della Verità, forse la stessa politica ne trarrebbe un forte giovamento.

Chissà, io ci spero ancora in quella quinta busta.

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