domenica 27 giugno 2010

Sicuri che sia proprio voglia di protagonismo?

Sto leggendo in questo momento la requisitoria che il procuratore Gatto sta
facendo al Processo contro dell'Utri. Sembra una persona posata, un borghese
liberale da quadro di Induno, ma nella moderazione del suo aspetto, ha parole
rivoluzionarie verso quei giudici che sono stati piu' volte nella bocca di
politici e giornalisti in questi giorni.
"Oggi è il potere ad essere giudicato.Oggi dovete prendere una decisione storica che attiene non solo alla storia giudiziaria ma alla storia del Paese. Con la vostra sentenza si potrà costruire un gradino, salito il quale si possono percorrere ulteriori scalini per accertare la verità che ha dilaniato e insanguinato il nostro Paese. Non vi invidio". Le parole di una arringa, si sa, sono spesso piene di significato solenne, talvolta suonano addirittura tronfie o caricaturali se dette con postura da Vittorio Gassman. Ma non credo che questo sia il caso.

Credo invece che questo possa essere il vero giro di boa giudiziario della
Seconda Repubblica, un avvenimento giudiziario a memoria comparabile
con il processo Enimont celebrato a Milano nel 92-93. Anche in quel caso un
processo penale, allora per corruzione e finanziamento illecito, e' stata
l'occasione per far conoscere ancora di piu' (se questo fosse stato
necessario...) il sistema partitico della Prima Repubblica. Una sorta di
grimaldello che e' riuscito a far sfilare alla Procura di Milano il gotha del
mondo politico ed economico italiano, e senza che nessuno lamentasse, allora, un
legittimo impedimento.
La pregiudiziale che a questo punto dell'analisi solleverebbe chi ha inventato ed utilizza l'etichetta di "giustizialista" (passa il tempo ma io devo ancora capire a cosa si riferiscono questi signori con questo appellativo), è che per l'ennesima volta le procure, più o meno politicizzate, si sono messe a fare politica per sovvertire il mandato popolare dato dagli elettori ai loro rappresentanti.
Si sente ormai da tempo questa espressione, e devo dire che me ne sono quasi convinto anch'io, ma per ragioni diverse.

Se per fare politica s'intende il senso ultimo di fare il bene della polis, è probabile che questo sia corretto. Ma più profondamente, il problema è quello (tutto italiano) dell'impossibilità di distinguere il livello della responbilità politica da quello di responsabilità penale. Se vi fosse un alto senso di responsabilità politica delle nostre classi dirigenti, senza che si debba aspettare l'ormai celeberrima sentenza definitiva, probabilmente non sarebbe necessario arrivare alla corte di un tribunale per giudicare a livello (anche) storico le azioni di qualsiasi politico. Ma in Italia, come dicevo, non è così.

Allora, la necessità di fare chiarezza passa per forza per un provvedimento giudiziario, che la maggior parte delle volte è di ordinaria amministrazione, ma che per alcuni casi (come quello dell'Utri) diventa la decisione su un'intera fase politica. Non credo che la magistratura si prenderebbe volentieri questo fardello, se la politica fosse capace motu proprio di risolvere questioni di moralità e buona amministrazione della cosa pubblica. Ma si sa, finchè non si ha l'acqua alla gola...

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